Il Forum di Telefisco

Trust

Riforma dei profili fiscali del trust estero

La Domanda Con riferimento all'applicazione della nuova disposizione prevista all'articolo 44, comma 1, lettera g-sexies), Tuir introdotta dal Dl 124/2019 si chiede conferma che - nella determinazione del "livello di tassazione" di un trust estero non stabilito nell'UE/SEE - si possano considerare anche le imposte pagate all'estero dal soggetto a cui è attribuito il reddito nello Stato estero ove il trust è stabilito sulla base della normativa fiscale ivi applicabile (in linea con le previsioni applicabili in materia CFC in materia di partnership/soggetti fiscalmente trasparenti all'estero, confermate dalle indicazioni della Cm 23/E/2011, paragrafo 6).   

La risposta dell'Esperto

La possibilità di estendere ai trust esteri le indicazioni rese in materia di CFC nella circolare 23/E del 2011, paragrafo 6, si scontra parzialmente con il fatto che per i trust esteri deve aversi riguardo (secondo la dottrina finora prevalente) della lettera b, comma 1, articolo 47-bis che dà rilevanza al livello di tassazione nominale. Pare infatti ammissibile considerare le imposte pagate dai partners per trasparenza in sede di determinazione di un tax rate effettivo (peraltro, secondo l’Agenzia, ammissibili soltanto laddove il soggetto estero sia trasparente per regime naturale di tassazione), ma nella determinazione di un tax rate nominale ciò sembra non adeguato. Pertanto, in assenza di un esplicito chiarimento in tal senso da parte dell’Agenzia delle entrate in relazione ai trust esteri, non pare possibile ritenere “salvi” i trust esteri fiscalmente trasparenti all’estero. Pare tuttavia possibile, in sede di istanza di interpello ex articolo 47-bis, comma 3, Tuir, valorizzare le imposte pagate all’estero sul reddito del trust estero trasparente, anche da parte dei soggetti cui il reddito viene imputato, per dimostrare che grazie al trust non si consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al comma 1. Depone a favore di tale tesi, l’approccio già seguito dall’Agenzia delle entrate nella Risposta all’istanza di interpello n. 254 del 2019, in cui l’Agenzia ha valorizzato il carico impositivo complessivo subito dal reddito di una società estera partecipata a prescindere dal luogo in cui il reddito si considera prodotto e dallo Stato in cui avviene la tassazione, tenendo conto anche del prelievo subìto dai diversi soggetti del gruppo societario, includendo anche l’imposizione sui dividendi distribuiti ai soci non residenti. Applicando tale regola, la società istante aveva calcolato il tax rate effettivo della società includendo anche le ritenute alla fonte e le addizionali sugli utili distribuiti ai soci esteri, arrivando a determinare un tax rate effettivo estero superiore alla metà dell’aliquota nominale italiana (Ires più Irap), circostanza che l’Agenzia delle entrate ha ritenuto sufficiente per disapplicare la disciplina. Francesco Avella