Concordato fallimentare liquidatorio

L’articolo 86, comma 5, del Tuir stabilisce l’irrilevanza delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione di beni “in sede di concordato preventivo” ove si tratti di concordato liquidatorio. È, invece, dubbio se la norma risulti applicabile anche ai concordati in continuità e, addirittura, agli accordi di ristrutturazione omologati. Gli articoli pubblicati sul tema non affrontano mai l’analogo problema dei concordati fallimentari liquidatori dove il “realizzo” delle plusvalenze derivanti dall’esecuzione del piano avviene successivamente alla chiusura del fallimento e quindi al di fuori del “maxi-periodo fallimentare”. A vostro avviso la norma in esame è applicabile in tali ipotesi?

Inviata il 01  febbraio  2018 alle ore 11:30

Si ritiene che al quesito debba essere data risposta negativa. A ciò spinge innanzitutto la considerazione che il concordato fallimentare, a differenza del concordato preventivo e delle altre procedure concorsuali o para-concorsuali, non è uno strumento per la soluzione della crisi d’impresa ma è un metodo di chiusura del fallimento. Ne consegue che, anche nella determinazione del reddito d’impresa, si dovrà considerare che il soggetto proponente il concordato, sia esso il fallito (tornato in bonis) o un terzo assuntore, è un soggetto in normale periodo di attività per il quale la base imponibile si dovrebbe determinare secondo le ordinarie regole del reddito d’impresa. In altre parole, mentre nel concordato preventivo liquidatorio la norma agevolativa di cui all’articolo 86 Tuir va a vantaggio della massa dei creditori, per i quali in conseguenza della detassazione restano maggiori somme disponibili, nel concordato fallimentare l’irrilevanza della plusvalenze realizzate in seguito all’omologa andrebbe a vantaggio del soggetto proponente, obbligato nei confronti dei creditori ad una soddisfazione “fissa” e “predeterminata” a norma dell’articolo 124 della legge fallimentare. Chiara Vanni

Inviata il 11  febbraio  2018 alle ore 17:23